«Nel nome di Dio, fermati un momento, smetti di lavorare, guardati intorno»

~ Lev Tolstoj~

 

Una delle caratteristiche del nostro tempo è l’indifferenza, rivolta a molte situazioni, persone, eventi, e che spesso viene catalogata come una forma di difesa verso le continue e incessanti informazioni, che con vorticosa frequenza si affastellano nella nostra quotidianità. Riconosciuta come tale diventa, quindi, un “girarsi dall’altro lato” per non farsi compromettere e non farsi coinvolgere: indifferenza verso ogni essere che soffre, verso le catastrofi naturali provocate dall’uomo, verso le conseguenze delle azioni, ma anche mancanza di solidarietà, di empatia, di riconoscimento e di gratitudine. L’indifferenza purtroppo però provoca solitudine ed emarginazione da cui è difficile difendersi.

Se analizziamo il contesto attuale è proprio l’indifferenza il tratto che colpisce di più in un mondo sempre più digitalizzato e individualista, privo di entrate e di uscite rispetto al mondo reale.
Per molte persone l’indifferenza è diventata una modalità di esistenza difensiva verso un mondo esterno pericoloso e rischioso.
Ecco perché oggi più che mai diventa importante provare ad imboccare strade che ci allontanino dal solo “io”, dal nostro narcisismo, da un istinto naturale all’autosufficienza e alla supponenza, per avvicinarci all’altro.
La prima strada che possiamo imboccare è quella della gratitudine.
Diversi studi di psicologia accentuano il carattere terapeutico della gratitudine. Sappiamo, per esempio, quanto migliori la circolazione del sangue e produca effetti benefici in grado di rallentare l’invecchiamento.
La gratitudine, inoltre, diventa un desiderio, un movimento di reciprocità, che viaggia in due direzioni: quella di chi ha aiutato e quella di chi ha ricevuto l’aiuto. Solamente ricordare il beneficio ricevuto, riconoscere che qualcuno è stato dalla nostra parte con generosità e con disponibilità, ci spinge al desiderio di ricambiare. Ci stimola ad esprimere la nostra gratitudine restituendo qualcosa di ciò che abbiamo ricevuto.
La gratitudine come dimostrano le ricerche scientifiche è fonte di benessere psicofisico.
Dire “grazie” eleva le vibrazioni e ci pone in uno stato mentale positivo che genera emozioni positive, produce inoltre cambiamenti del flusso sanguigno, in quanto esprimere gratitudine genera un ritmo cardiaco coerente, cioè un andamento calmo e uniforme dei ritmi cardiaci. Il corpo aumenta la produzione di ormoni utili come l’ormone anti-invecchiamento DHEA, aumenta le funzioni cognitive e rafforza il sistema immunitario.
Si registrano inoltre maggiori livelli di attività nell’ipotalamo e flussi più elevati di dopamina, una sostanza chimica prodotta dal cervello che influenza positivamente l’umore e la cui mancanza provoca depressione e ansia.
La mente per sua natura è orientata verso ciò che è negativo e quindi ci induce a concentrarci su ciò che vorremmo, ma che al momento non abbiamo, il che genera sconforto, malcontento, delusione, la gratitudine al contrario ci spinge a concentrarci su ciò che abbiamo, piuttosto che su ciò che non abbiamo, ci spinge ad attribuire valore a tutto ciò che la vita ci ha donato dalle piccole alle grandi cose.
Nelle organizzazioni, la gratitudine viene sempre più considerata fondamentale per migliorare l’efficienza, il successo e la produttività dei dipendenti, migliorando allo tempo stesso il clima organizzativo.
La gratitudine, infatti, come abbiamo visto, è degna di nota perché aumenta le relazioni positive, il supporto sociale e il benessere generale dei lavoratori, riduce le emozioni negative anche sul posto di lavoro e migliora complessivamente la salute e il successo dell’organizzazione.
I manager che si premurano di dire “grazie” alle persone che lavorano con loro, potrebbero scoprire che quei dipendenti si sentono motivati ​​a impegnarsi di più nel loro lavoro.
La gratitudine nelle organizzazioni è particolarmente importante perché soddisfa il bisogno psicologico delle persone di provare un senso di appartenenza a qualcosa di più grande di noi stessi – di essere in grado di dare un significato al proprio lavoro.
Questo desiderio dare senso al proprio lavoro, fa parte di una trasformazione organizzativa e psicologica, che porta alla creazione di luoghi di lavoro più umani, radicati nella gratitudine, dove le persone si sentono apprezzate, valutate, rispettate e autorizzate a raggiungere il loro pieno potenziale.
La gratitudine va di pari passo con l’atto di dare riconoscimento. Quando ci riconosciamo l’un l’altro, aumentiamo il grado di riconoscenza e possiamo ispirare la persona che abbiamo ringraziato a restituire quella sensazione a qualcun altro, portando a un aumento di felicità, benessere, energia e impegno, tutto direttamente influenzando le prestazioni, la produttività, la fidelizzazione e innescando, quindi, un circolo virtuoso.
Questo è l’effetto generato dalla gratitudine: un’increspatura di riconoscimento e apprezzamento che aumenta, trasformandoci e ispirandoci e migliorando i risultati aziendali. Maggiore è la gratitudine in circolazione, più connessioni umane vengono stabilite e maggiore è la collaborazione, il coinvolgimento e l’innovazione in tutta l’organizzazione.
Se poi il riconoscimento viene fornito in modo continuativo, l’impatto di tale rinforzo positivo è ancora maggiore.
Il dottor Robert Emmons, professore di psicologia a Davis, università della California, definisce la gratitudine “l’ultimo punto di contatto dell’esistenza umana … e la sostanza che migliora le prestazioni”.
L’atto di esprimere gratitudine ci rende vulnerabili e autentici, creando una potente connessione umana tra chi dà e chi riceve.
Va ricordato che il potere della gratitudine è estremamente importante, quando le persone imparano a riconoscersi reciprocamente, quando dare e ricevere gratitudine diventa il fondamento di una cultura organizzativa, tutti ne vengono edificati, tutti sono in grado di esprimere la parte migliore di loro stessi e il successo di una persona diventa quello della collettività.